PACI PACIANA
di L. Scotti -
Tratto da "Quaderni Padani Anno III n° 11 Maggio-Giugno 1997Vincenzo Pacchiana, detto Pacì e meglio conosciuto come “padrù de la Val
Brembana”, è senza dubbio uno dei personaggi più conosciuti ed amati
nella bergamasca. Così veniva descritto nel 1806, in un avviso della
polizia locale dove veniva promessa una taglia a chi l’avesse
consegnato, vivo o morto, alla giustizia: “Nativo di Poscante vicino a
Zogno, statura piuttosto alta, età d’anni trenta circa, corporatura
ordinaria, capelli neri con ricci intrecciati alla fronte ed alle
orecchie con coda legata alla francese lunga tre pollici circa,
scintillioni neri larghi sino al confine delle orecchie, barba nera
ordinariamente rasa, occhi brillanti, mento pieno, color del volto
olivastro per aver contraffatto il suo naturale, girovago e bandito.
Suole travestirsi in mille guise ed anco di donna, parla il dialetto
Bergamasco misto col rozzo Veneto, e va munito di due coltelli, pistole
e schioppo a due canne”. Sulla vita di Pacì Paciana la storiografia
ufficiale da un lato e la tradizione orale dall’altro rendono versioni
piuttosto contrastanti: la prima descrivendolo come nulla più che un
semplice bandito violento e disonesto, la seconda facendolo invece
apparire come il Robin Hood locale, un bandito gentiluomo che ruba ai ricchi per
dare ai poveri, pur trattenendo una “congrua” parte per sé. E se, come
sempre avviene, la leggenda ha arricchito il personaggio di tratti e
peculiarità tali da farne quasi un eroe, è pur vero che la versione
storica si basa su documenti che non danno garanzia di attendibilità
assoluta, primo fra i quali l’arringa pronunciata davanti al tri-bunale
di Bergamo nel 1806 (quando Pacì Paciana era già morto) a difesa di un
certo Pietro Zambelli accusato di favoreggiamento del bandito. Ma
cerchiamo di ricostruire la vita e la figura del nostro personaggio
intrecciando la storia con l’ “altra verità”, quella che narrano i
vecchi montanari della Val Brembana dove Pacì Paciana era di casa e
compiva le sue imprese duecento anni fa.
Come in tutte le storie di banditi che si rispettino
(dal Passator Cortese a Fra Diavolo, allo stesso Robin Hood) anche Pacì
Paciana fu costretto sulla via del crimine per vendicarsi di
un’ingiustizia subita. Una sera, si racconta, Vincenzo Pacchiana solo e
chiuso nella sua casupola sentì bussare alla porta, aprì e vide due
viandanti che chiedevano alloggio per la notte; diede loro ospitalità,
ma al mattino seguente i due scomparvero portandosi via un orologio a
lui particolarmente caro. Subito Pacchiana si mise sulle tracce dei
ladri e li scovò in un’osteria, ma per riavere il maltolto dovette usare
le maniere forti e distribuire un buon numero di cazzotti. Alcuni giorni
dopo il recupero dell’orologio gli venne recapitato dalla Pretura di S.
Giovanni Bianco un ordine di comparizione, avendolo i due ladri
denunciato per furto e lesioni, così Pacì Paciana dovette darsi alla
macchia e vivere di espedienti per fuggire all’accusa ingiusta che
gravava su di lui.

Ritratto del Pacì Paciana
Il suo primo delitto fu l’aggressione e conseguente
estorsione compiuta in casa del parroco di Grumello dè Zanchi, per il
quale finì in galera quando ancora dominava la Repubblica Veneta. Il 13
marzo 1797 veniva rovesciato il governo veneto e proclamata la
repubblica Bergamasca con il determinante aiuto delle truppe francesi,
ed in questa occasione vennero aperte le galere e anche Pacì Paciana
tornò in libertà. Da allora il bandito, con la polizia alle calcagna,
riuscì sempre a farsi beffa dei gendarmi e probabilmente, proprio per il
fatto di essersi ribellato ad un’autorità odiata quale era all’epoca
quella francese, venne poi esaltato dalla tradizione orale della valle
che arrivò a descriverlo come un patriota. A favorire questa visione è
venuto il fatto che la sua azione si è confusa con quella degli
insorgenti che nello stesso periodo combattevano contro l'occupazione
francese. La lotta contro il centralismo giacobino a favore delle
autonomie locali e la difesa della tradizione religiosa e degli antichi
diritti comunitari hanno finito per sovrapporsi ad un ribellismo
generico contro autorità mal sopportate e ad azioni di meno nobile
banditismo al punto che i confini fra le varie motivazioni erano spesso
piuttosto labili. Pacì Paciana si è inserito in questo complesso clima storico assumendo di volta in volta la veste di
brigante o di partigiano delle libertà padane, di fuorilegge spinto da
interessi personali o di un Robin Hood difensore del popolo oppresso.
L’impresa sicuramente più famosa (e, pare, solo leggendaria) di Pacì
Paciana fu il salto dal ponte di Sedrina. Si racconta che i gendarmi
vennero a sapere da qualche delatore che il bandito sarebbe dovuto
transitare sul ponte che a Sedrina si leva alto sul fiume Brembo, e il
giorno prestabilito si appostarono nascosti alle estremità del ponte.
Gli sbirri lasciarono che Pacì Paciana arrivasse a metà del sospeso,
dopo di che vennero allo scoperto bloccandogli ogni possibile via di
fuga. Si narra che il capitano delle guardie, tronfio di soddisfazione e
di sarcasmo, disse al brigante “Si prendono anche le volpi vecchie”; ma
il bandito rispose “non di questo pelo” e si buttò dal ponte scomparendo
dalla vista e beffando per l’ennesima volta le guardie. Pacì Paciana
alternò nel corso della sua vita periodi di relativa tranquillità ad
altri di intensa attività brigantesca, dove compì numerose estorsioni di
denaro usando il ricatto ed il rapimento quali armi preferite. Le più
famose sono quella ai danni dei coniugi Mazzoleni che gli fruttò solo
600 lire a fronte delle 2000 richieste, e quella più corposa ai danni
dell’oste Nicola Bonetti nel 1803: con il suo rapimento Pacì riuscì ad
estorcere ben cinquemila lire, ma dopo quest’impresa fu costretto a
riparare a Venezia dove dimorò per circa due anni. Anche a Venezia
tuttavia, con l’arrivo dei francesi nel 1805, la sua sicurezza tornò in
pericolo e Pacì Paciana si rimise in viaggio verso la sua Valle dove
però non fu accolto con simpatia. Bisognava liberare dal terrore le
popolazioni della Media Valle Brembana e cominciò così una caccia
accanita nei suoi confronti. Lo stesso commissario di Alta Polizia si
trasferì da Bergamo a Zogno “con un gran numero di uomini e mezzi
straordinari” per “assicurare gli abitanti del dipartimento valligiano
dalle concussioni e violenze del famoso brigante Vincenzo Pacchiana”.
Venne emessa la taglia di cui parlavamo all’inizio, e si arrestarono
tutte le persone sospettate di favoreggiamento verso il bandito. Pacì
Paciana (che aveva sempre cercato di fare il più possibile da solo,
perché sicuro di sé e soprattutto per diffidenza) si rifugiò a Gravedona,
dove fu costretto a chiedere aiuto e collaborazione ad un altro bandito,
meno famoso ma certamente più crudele (certo Cartoccio Cartocci, o
Carcino Carciofo) che, allettato dalla taglia e nella speranza di farsi
perdonare le sue ribalderie, lo uccise nel sonno con una schioppettata.
Troncatagli la testa lo portò a Bergamo dove i francesi lo esposero
sulla ghigliottina della Fara. Era il 6 agosto 1806. La memoria di
quest’uomo è ancora molto viva in Val Brembana, e ci sono persone che
ancora oggi vanno alla ricerca di documenti per approfondire la
conoscenza del personaggio e fari luce sugli aspetti ancora non risolti.
Siamo andati a Zogno, dove il parroco don Giulio Gabanelli ha fatto
della ricerca della verità su Pacì Paciana quasi una missione, e
periodicamente aggiorna tramite il bollettino i suoi parrocchiani sugli
sviluppi. È stato lui a ritrovare due anni fa l’atto di nascita del
bandito, sciogliendo finalmente un dubbio che durava da duecento anni:
Pacì Paciana è nato a Grumello dè Zanchi il 18 dicembre 1773. Abbiamo
anche fatto due chiacchiere con don Giulio, ed è stato curioso
constatare con quale affetto questa gente parli ancora di Pacì Paciana,
come di un parrocchiano un po’ irrequieto ma in fondo buono come il
pane, ucciso a tradimento da un meridionale (come don Giulio ha tenuto a
specificare). Don Giulio ha perfino composto una poesia in cui rimpiange
Pacì Paciana e lo invita a tornare in Val Brembana: in fondo, si legge,
meglio te dei ladri legalizzati che oggi comandano e che fanno carriera
a spese di chi sgobba e paga le tasse!

Il
documento di messa al bando del Pacì Paciana

Rappresentazione del Pacì Paciana.
C.
Guariglia: «La balada del Paciana»
Turna, Pacì Paciana!
Turna, Pacì Paciana!
La
zét l’è semper chèla
e’l
pùt l’è semper lé,
i
càmbia ’po’ i divìse
ma
’l Brèmp no ’l tùrna ’nreé!
I
vésse è sèmper chèi
e i lader i comànda
ma
chi legalizàcc
o
mèi de professiù
che
i spara de gran bale
de
stüpecc e spacù!
Intat i fà cariéra
a
spése de chi paga
i
tasse per i dèbecc
e
per finì ’n galera!
Ma
piö gna ’l Padretèrno
l’
sè fiderès a nàs
compàgn de l’ótra ólta
in
chèsto nòst paìs
perchè i lo sbranerès
insèm co la treìs!
L’è
semper chèla màfia
dei
fürbi e dei balòs,
che
co la cùa de pàia
la mèt töt quànt a pòst!
Po’’
u dìss che l’è la lège
che
la decìde iscé;
che
i i fà, che i vùlta e pìrla
la
lège co la zét!
Po’’
i te denüncia ’nfi
per
mètet a tasì!
Ma
töce i scüse è bùne
per
tègnet incastràt!
Tùrna, Pacì Paciana,
a fà
’l castìga macc,
tùrna ’nde Vàl Brembàna
perchè m’ sè disperàcc!
|