IL BAGHET LA PIVA DELLE ALPI
Tratto dalla rivista Terra Insubre - Numero speciale Lorient 1998


I Samadur

Il "Baghèt" può essere considerato il re degli strumenti popolari Bergamaschi. Di origini antichissime, la presenza di questo aerofono è documentata nella provincia sin dalla fine dei XIV secolo e lo si può osservare in diversi affreschi o tele sia nella Bergamasca che al di fuori, in opere di autori Bergamaschi come ad esempio nella “Danza Macabra” (secolo XVI) di Pinzolo (TN), eseguita dai Baschenis di Averara. Già molto è stato scritto su questo strumento affascinante e quasi miracolosamente giunto fino a noi: ci si limiterà qui a riferire quel poco che non è stato ancora detto insieme a qualche dato generale, rimandando per un ogni ulteriore approfondimento al libro “Il Baghèt” di Valter Biella (Ponteranica: Edizioni Villadiseriane, 1988).

Diverse sono le dizioni usate in provincia per indicare lo strumento, ma ormai la più comune è "Baghèt", anche se si tratta della denominazione utilizzata originariamente solo nella media valle Seriana e Valgandino. Nella bassa valle Brembana era più in uso il termine "Baga", e non è da escludere che si trattasse forse anche di un altro strumento, magari più grande. In alta valle Brembana era chiamato "Pia": lo stesso termine era in uso anche in valle Imagna, dove sono stati rinvenuti pezzi di bordone presso la famiglia Salvi, detti i “Pischìre”.
 

Questa famiglia aveva dato in passato numerosi suonatori professionisti che si spinsero sino in Francia per suonare durante le feste, le fiere o i mercati: purtroppo i loro strumenti sono andati perduti. Nella testimonianza del “Pigno” Tipo Giuseppe Arrigoni, suonatore professionista di cornetta in Francia e in Svizzera, tuttavia non si accenna a parti di pelle nello strumento, e "Pia" potrebbe perciò anche essere un piffero simile a quello delle "Quattro Province". Il nonno di questo suonatore della Valle Imagna era violinista di professione in Francia, ma suonava anche la "Pia" quando rientrava nel suo paese di origine. In altre località come Dorga, Castione, Valle di Scalve, lago di Endine e nella zona di Lovere lo strumento è chiamato "Pia Baghèt", e questo è senza dubbio il più affascinante dei nomi che sono stati attribuiti in questa terra alla cornamusa poiché si tratta della trasposizione pressoché letterale del termine scozzese "Bag Pipe"

Vi sono testimonianze della presenza di suonatori anche nella zona di Cene e pare che lo strumento fosse diverso da quelli rinvenuti in Valgandino, Gazzaniga, Semonte, solo a pochi chilometri di distanza. Come attestato da numerose testimonianze (che però non comportano nessuna certezza), lo strumento sarebbe stato presente anche nella zona di Almenno e nell'area attorno al monte Albenza. Anche in alta Valle Brembana è segnalata la presenza a Valtorta di un suonatore di "Pia" (il termine è rimasto come soprannome famigliare ai suoi discendenti): purtroppo lo strumento che impiegava è andato perduto, ma è stato ben descritto come l'insieme di una diana e di un bordone.
Ci limiteremo però qui a esaminare lo strumento usato nella media valle Seriana, perché è l'unico fisicamente giunto sino a noi, con modelli completi, e quindi con la possibilità di analizzarli e confrontarli tra loro. Questo "Baghèt" è composto da una canna della melodia (detta "Diana"), due canne di diversa misura (chiamate "Orghègn", o anche "Coregn", che danno un suono fisso che fa da supporto, o bordone, al suono della diana, potenziandolo con degli armonici), un "Sufièt" o "Buchì" che serve da insoffiatore per riempire la sacca, la "Baga", nella quale sono infisse le canne attraverso dei giunti che servono anche da protezione per le ance. Le ance sono delle lamelle, generalmente di canna. Ma, in mancanza di questo materiale, un tempo si è anche impiegata una lamella di nocciolo “maschio e seccato in piedi”: oggi sono prodotte anche in materiale sintetico, che vibrando producono un suono. Nella "Diana" abbiamo un'ancia doppia, simile a quella dell'oboe: “Ol Piì”. Nei bordoni ci sono delle ance semplici, “Spolete” pezzetti di canna o di sambuco nei quali viene intagliata una linguetta, che vibrando produce il suono. Le mani del suonatore sono ambedue tenute sulla Diana, contrariamente a quanto avviene nella zampogna centro meridionale, dove invece ciascuna mano poggia su una diversa canna della melodia: infatti, queste due Diane si chiamano la "Manca" e la "Ritta" in questo strumento e, insieme ai bordoni, sono infisse tutte su un unico giunto che si viene a trovare sul petto del suonatore. Nel "Baghèt" invece ogni canna ha un suo giunto in posizione diversa in quanto i vari pezzi non si vengono a trovare tutti insieme, ma sono distribuiti: sulla spalla sinistra, il bordone maggiore ("Prim Òrghen"), sul gomito destro il bordone minore ("Segond Òrghen"), sotto l'ascella sinistra la "Baga" e la pressione di quest'ultima viene controllata dal gomito sinistro. Davanti la “Diana” è tenuta con la mano sinistra in alto sulle note acute (pollice sul foro posteriore, indice sul primo foro in alto, medio sul secondo anteriore, anulare sul terzo foro), mentre la destra poggia sulle note basse (indice sul quarto foro anteriore, medio sul quinto, anulare sul sesto, mignolo sul settimo). È interessante notare come i vecchi "Baghetér" usassero invece mettere le mani al contrario, ossia la destra in alto e la sinistra in basso. Verso la parte distale, ci sono altri due fori, che servono come sfiato e per ottenere una migliore intonazione, chiamati "Orègie". La foratura interna della canna della melodia è conica e termina senza scampanatura come avviene invece nelle zampogne. Interessante è invece osservare la somiglianza con la "Bag Pipe" scozzese, anch'essa senza scampanatura, e con le "Orègie", con i bordoni a impianto separato, e lo stesso modo di tagliare e di cucire la pelle nella preparazione della "Baga".  

La diteggiatura del "Baghèt" è di tipo aperto, o naturale, si parte cioè dal basso, chiudendo tutti i fori, in questo modo si ottiene la nota detta "Sensibile", mentre la penultima è la dominante. Gli strumenti antichi ritrovati presso le famiglie dei suonatori, danno una nota dominante tra il La e il Si b, questo ha indotto a pensare che si trattasse di uno strumento in La. È invece più probabile che si tratti di uno strumento in Si b non temperato, infatti, tutti gli strumenti ritrovati sono stati costruiti prima della "Riforma" fatta alla fine del XIX secolo. Del resto resiste ancora presso ì vecchi suonatori delle bande il modo per definire uno strumento non temperato con la definizione "Corista Ècc", che sta appunto a significare uno strumento appartenente al periodo precedente al 1870, periodo della riforma degli strumenti. Anche in Scozia ancora oggi molti "Bag Piper" si fanno costruire delle cornamuse "vecchia maniera" che sono esattamente tra il La e il Si b (altra interessante caratteristica in comune fra gli strumenti bergamaschì e quelli scozzesi). Anche per quanto riguarda la diteggiatura "aperta" si può avanzare una interpretazione: gli ultimi "Bagheter" erano sì gli eredi di una folta schiera di suonatori, ma erano anche, purtroppo, soltanto la punta dell'iceberg della nostra musica. Sono infatti vissuti in un periodo di grandi cambiamenti anche a livello musicale, oltre che politico‑sociale: la riforma degli strumenti sopra accennata, l'introduzione della fisarmonica, con il conseguente declino del "Baghèt", l'introduzione di nuove danze e nuovi ritmi. Per tutto questo non è dato conoscere con precisione se usassero anche una diteggiatura "chiusa" come in Scozia e in Francia, o in Spagna, perché è mancato il collegamento con la vera "vecchia scuola". In più, per l'uso al quale era ultimamente destinato lo strumento (le musiche del periodo natalizio) era sufficiente la diteggiatura aperta. Sarebbero stati molto diversi il destino e l'evoluzione dei "Baghèt" se anche da noi esso fosse entrato nell'uso militare, come accadde nei reggimenti scozzesi, o se fosse stato parte integrante di processioni e sfilate ufficiali come in Galizia e nelle Asturie (Spagna). 

Abbiamo delle testimonianze di note eseguite con le dita "a forchetta" e anche osservando dei quadri dove il Baghèt è riprodotto. Si è indotti a pensare che anticamente non fossero del tutto sconosciute altre diteggiature, più difficili ma che offrivano molte più possibilità esecutive, e per questo molto più apprezzate dai suonatori professionisti. Il fatto che con gli strumenti oggi ricostruiti, queste diteggiature non "funzionino" potrebbe essere dovuto solo alle possibilità che offrono gli strumenti attuali, e alle ance di cui disponiamo. A questo proposito è possibile anticipare che è in corso una ricerca nei paesi dove è ancora ben viva la tradizione della cornamusa (Spagna e Francia), con l’aiuto di liutai e costruttori di ance, per cercare di arrivare a strumenti più affidabili. Come si è detto, l'uso del "Baghet' si era contratto ai riti natalizi, mentre un tempo era suonato anche per accompagnare il ballo e soprattutto il canto. Una delle doti che davano maggior prestigio ai vecchi "Baghetér” era quella di essere in grado di cantare e di suonare nello stesso tempo: mentre si eseguiva il ritornello si riempiva la "Baga" d'aria, e quando questa era piena, il suonatore cantava la strofa e continuava di seguito alternando una pausa del ritornello per riempire ad una strofa cantata e suonata. Ben poco purtroppo è rimasto del ballo. È vero che i gusti musicali sono stati influenzati dall'arrivo di nuovi strumenti come la fisarmonica e che i vecchi balli sono decaduti, ma un po' di colpa va anche attribuita alle disposizioni da parte della Chiesa (Papa S. Pio X) in materia di controllo della musica e soprattutto del ballo. Purtroppo questa riforma si è rivelata deleteria per il nostro patrimonio culturale perché il popolo Bergamasco è molto religioso e (anche fin troppo) disciplinato, e nel giro di pochi decenni si sono cancellati secoli di tradizione danzante. Purtroppo ogni epoca produce errori di cui poi ci si pente quando è troppo tardi. Fortunatamente, se quasi nulla è rimasto riguardo ai passi e alla coreografia, si sono salvate moltissime musiche di vecchi balli e questo grazie a un fenomeno stranissimo.

In provincia di Bergamo è ancora vivissima la tradizione delle campane, che sono suonate non soltanto con la corda (distesa), ma anche percuotendole con il batacchio manovrato da un filo d'acciaio collegato a una tastiera. Praticamente si possono suonare come un pianoforte e siccome generalmente le campane sono otto, ci si trova a disposizione una scala maggiore, che permette di eseguire dei brani musicali esattamente come nella musica popolare. Nelle giornate di festa è ancora facile trovarsi in qualche paese dove è rimasta viva la tradizione di suonare “L’Alegrèssa”. Proprio grazie a questo modo di suonare le campane si è salvato il repertorio tradizionale del Baghèt. I vecchi suonatori infatti erano spesso anche campanari, e siccome anche il Baghèt è messo in scala maggiore, tutte la suonate del Baghèt possono essere suonate sulle campane. 

Altro dato interessante è che le suonate delle campane non erano mai suonate religiose, ma sempre di origine profana; soltanto oggi si possono sentire delle suonate o canzoni religiose eseguite con le campane, ma non sono certamente di derivazione antica o tradizionale. Grazie a ciò il repertorio del “Baghetér” è passato sulle campane. Il lavoro che si sta facendo ora è quello di compiere il percorso a ritroso: registrare le suonate dei campanari e riportarle sul Baghèt. In questo modo si sono recuperate tantissime musiche: valzer, mazurche, polke, scottish, ed altre che non si sapeva come catalogare. Poi viaggiando e scandagliando un po’ il mondo culturale fuori dalla provincia si è scoperto, grazie anche alle descrizioni dei balli fatte dagli anziani, che esiste un legame con il repertorio delle "Burré", ancora in uso in Francia nelle vallate del Piemonte, delle “Monfrine” e di altre musiche che pian piano verranno catalogate. Lo strumento attualmente è riprodotto da un costruttore, ma c’è ancora molta strada da fare per arrivare ad ottenere un Baghèt in grado di tenere stabile l'intonazione e poter permettere a una banda di suonare sfilando come fanno gli Scozzesi, gli Asturiani o i Galleghí. Nella ricerca per trovare un modo per risolvere questi problemi si sono presi contatti con esperti stranieri: in particolare si ha avuto. l' incoraggiamento di un ricercatore spagnolo, divenuto a sua volta costruttore di Gaite, che ha spronato a continuare, a non demordere ricordando quanto avvenuto nella sua terra. Anche nella sua zona fino a trent'anni fa stava sparendo lo strumento, ma oggi ci sono più di cinquemila "Gaiteros", cosa impensabile all'inizio dell'impresa. Come se non bastasse, i giovani locali si sono stancati di suonare sempre gli stessi pezzi tradizionali sopravvissuti e hanno cominciato a comporre musica per cornamusa alla maniera tradizionale (Hevia, Nunez, Scivane ... docent). 

E da noi ? Si sta lavorando per poter vedere anche qui sfilare un giorno una banda composta da decine di elementi, come accade di vedere nelle aree atlantiche della cornamusa, per riscoprire la nostra identità e orgoglio etnico: “Polenta e Baghèt”, contro "spaghetti e mandolino”.

 

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