IL COLTELLO DA PASTORE

di Piergiorgio Mazzocchi - Tratto dal libro "Pastori" di Anna Carissoni anno 2004

l pastore della provincia di Bergamo e del nord Italia in genere, è un pastore nomade ,nel senso che è sempre alla ricerca di erba fresca, tenera per il suo bestiame. Questo comporta un continuo spostarsi, soprattutto in inverno, e questo continuo andare lo obbliga a ridurre al minimo indispensabile ciò che deve trasportare. Di una cosa però il pastore non può assolutamente fare a meno: del coltello da tasca. Oggetto-atrezzo indispensabile per tagliare un pezzo di formaggio, di “bergna”, per curare qualche animale che zoppica, o che comunque ha  bisogno di essere curato, per aggiustare qualche finimento dell’asino, per mille piccoli lavori lungo il viaggio: il coltello deve sempre essere a portata di mano. Strumento di lavoro quindi, non arma da difesa,( per la difesa c’è il bastone), e proprio come strumento di lavoro viene anche separato dal coltello inteso come arma, nel “gaì”: “smésser” il primo, sempre presente nella tasca del gilè, “puntaröl” (stiletto) il secondo, scomparso nell’uso.

Nelle nostre valli la produzione di coltelli da tasca, intesi proprio come coltelli da lavoro è sempre stata garantita da piccoli artigiani, come fabbri, “maér”, mugnai che, durante i periodi di stanca, integravano con la produzione di piccoli manufatti le loro magre entrate. Generalmente lavoravano su commissione o in vista di determinate fiere o mercati, dove sapevano di poter smerciare i loro prodotti. Si trattava di una produzione locale,( non era certo di quelle dimensioni che nei secoli passati certe zone come Gromo o Zorzone avevano avuto nella produzione di armi bianche), tuttavia si produceva materiale di pregio dal punto di vista della qualità delle lame, e i nostri coltelli sono sempre stati molto richiesti ed apprezzati anche fuori provincia.  Probabilmente questo era dovuto al fatto che l’acciaio usato nelle nostre valli era prodotto sul posto e di ottima qualità per caratteristiche dovute al minerale presente sul nostro territorio, basti pensare ai coltelli da macelleria  di Clusone, che all’inizio del XX sec. erano apprezzatissimi in Inghilterra per la loro durezza e capacità di tenere il filo, e questo nella terra degli Sheffild e dei Whilkinson!  

Lungo i secoli si sono venuti a creare due modelli principali di questi coltelli, che ho già avuto modo di definire a suo tempo in altra sede come coltello della Valle Brembana e coltello della Valle Seriana. Il primo si presenta con la lama a filo curvo con un’elegante voluta a mezzaluna. Il manico è in legno di bosso, e con l’uso prende delle sfumature di colore stupende dal giallo intenso all’inizio, fino al marrone o un terra di Siena nei più vecchi, la forma del manico è data oltre che dall’esigenza di contenere la lama da una linea armoniosa e anatomica al tempo stesso che gli ha meritato queste lodi nel libro “Coltelli d’Italia “di Cesare Baronti : “… ci permette ancora oggi di ammirare e di maneggiare uno dei più belli tra i coltelli italiani, il coltello bergamasco, che con la mobilità delle sue semplici linee, la proporzionata leggerezza ed insieme potenza delle sue meditate forme, riesce immediatamente a dare il senso della perfezione estetica e del rigore funzionale”.

Il modello della valle Seriana invece è più spartano all’occhio, perché ha una lama dritta e di conseguenza anche il manico non può evolversi in linee particolarmente armoniose, altrimenti verrebbe meno il suo scopo principale d’uso, vale a dire quello di fare da fodero alla lama quando non è usato. Probabilmente la foggia più antica è quella del “Valle Brembana”, come dimostra anche questo vecchissimo Mezì che è proprio un ibrido: la lama grande è curva mentre la lama piccola è dritta, dimostrando il passaggio da un modello che si evolve nell’altro.

 

Ma forse c’è anche un altro motivo della differenza tra i due modelli ed è proprio quello del tipo di uso per il quale sono stati costruiti: in Valle Brembana è più sviluppato l’allevamento bovino rispetto a quello ovino per cui era necessaria una lama atta alla lavorazione del formaggio, o comunque legata all’attività del “bergamì”, compreso l’intaglio di qualche pezzo di legno da trasformare in attrezzo o utensile durante i momenti di pausa o nella stagione invernale, ed forse anche per questo che raggiunge a volte delle dimensioni notevoli. La valle Seriana invece aveva un numero maggiore di persone legate al mondo della pastorizia, ed essendo la produzione del coltello molto legata alla richiesta, forniva dei modelli più consoni alle esigenze del suo piccolo mercato, anche se restava, in ogni modo, una certa influenza sul modello portata dal coltellinaio. Sta di fatto comunque che generalmente i pastori preferiscono lame dritte e non troppo ingombranti e, può anche darsi che nella forma primigenia il costruttore avesse maggior influenza, ma senza dubbio il modello finale, cioè quello definito” coltello da pastore” è nato su preciso suggerimento del cliente stesso che dettava la misura e la forma in base al proprio uso. Questo può sembrare strano a noi che andiamo in un negozio e acquistiamo una giacca, dopo aver provato se ci va bene, non era strano una volta, quando tutto era fatto su misura. Il fatto stesso che abbia due lame una piccola e una più grande è dovuto proprio al multiuso cui era soggetto. Dovendo fare anche da bisturi, c’era la necessità di avere a portata di mano una lama che fosse sempre affilatissima, oltre al fatto che come mi diceva un pastore stesso: “ mi fa un po’ schifo tagliare ciò che mangio con una lama che ha lavorato su un animale”. L’innovazione delle due lame viene quindi dal mondo dei pastori, e molto probabilmente il coltellinaio o la famiglia di coltellinai che aiutò quest’idea o suggerimento a concretizzarsi è stata la famiglia Marinoni di Rovetta, soprannominati “Mezì”. Dico questo con una certa sicurezza per prima cosa per l’età dei coltelli firmati da Giuseppe Marinoni classe 1860. I modelli più antichi portano il punzone MG, anche se potrebbe essere stato utilizzato dai figli anche dopo la scomparsa del padre. Ci sono anche dei modelli, soprattutto dei Marinoni che invece della lama piccola hanno una o due lame per fare un salasso ( pratica oggi scomparsa ma un tempo molto usata). Nello zaino del pastore spesso un tempo c’era anche un altro piccolo coltello con la lama a mezzaluna che aveva due funzioni. La principale era quella della medicazione dello zoccolo della pecora quando prendeva il “moèt”, la seconda era quella scavare qualche cucchiaio o qualche “basgiòt” per ingannare il tempo durante i momenti di attesa. Questo uso ormai è scomparso, ma rimangono questi stupendi pezzi a ricordo di come si ingannava il tempo oltre all’uso dell’armonica a bocca, e anticamente di altri strumenti anch’essi scomparsi nell’uso, ma comunque documentati soprattutto nei quadri che rappresentano scene pastorali, ma ciò apre un discorso che meriterebbe un capitolo a parte.

Il coltello prodotto invece, anche attualmente, a Premana (LC), era fatto esclusivamente per un mercato che richiedeva quel particolare modello, ma che non è nato a Premana, questo paese non ha mai esercitato un’influenza tale da definire la foggia di un modello e imporlo sul mercato bergamasco, se fosse stato richiesto un modello sardo, Premana avrebbe prodotto il modello sardo, e questo vale per tutti i modelli bergamaschi costruiti a Premana.

Mentre sono state raccolte molte notizie e testimonianze sul modello Valle Brembana, oltre alla famiglia Marinoni, che ha continuato la produzione fino agli anni cinquanta del secolo scorso, pare ci fosse soltanto un altro piccolo artigiano, che vendeva i sui coltelli al mercato di Clusone negli anni ‘30 ed era soprannominato “ol Galera”. I più apprezzati comunque erano sempre i “Mezì”, tant’è vero che il soprannome di questa famiglia indicava proprio , in forma gergale il “ coltello”,  erano conosciuti anche fuori la zona dell’altopiano di Clusone, sia in Valle Brembana che pure aveva una sua buona produzione, sia come materiale di scambio, proprio perché di buona qualità, dai contrabbandieri che li portavano a spalla introducendoli in Svizzera attraverso il passo del Venerocol. Il manico, anche in valle Seriana era sempre di bosso, e per le lame, oltre all’acciaio “vergine” spesso si riciclavano vecchie lime, o il codolo della falce quando questa veniva dismessa per esaurimento della lama, è risaputo che da questo recupero si traggono buonissime lame.

     

Fino agli anni sessanta tuttavia, vi furono altri artigiani che lo produssero e lo diffusero anche al di fuori della provincia: in valle Camonica e nelle valli Giudicarie e Rendena del trentino. Si producevano anche  nella zona di Odolo (BS), come da punzoni rinvenuti sulle lame, e da un artigiano bergamasco che li firmava con la sigla F.A.P. del quale però non conosco il nome , si sa soltanto che è emigrato in Svizzera e dubito che continui a produrne, è interessante il fatto che questo coltellinaio  cominciò ad usare l’acciaio inossidabile, innovazione interessante per quel periodo, visto che anche le produzioni di livello industriale come quelle francesi cominciarono molto più tardi a produrre coltelli con lame inossidabili.

Attualmente il coltello da pastore, come accennato sopra ,è prodotto da un artigiano: Codega, di Premana in Valsassina, paese con una grande tradizione nella lavorazione delle lame e dove l’attività artigianale si è evoluta in industriale soprattutto nella posateria, coltelli da cucina, forbici etc. purtroppo, per il nostro modello, non sempre il coltellinaio riesce a produrlo con il manico in bosso e con acciaio del livello dei “Mezì, tuttavia bisogna dare atto del fatto che comunque continua una produzione che altrimenti sarebbe scomparsa, e di questo dobbiamo essergliene grati.

 

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